Ore 9 del 12 aprile 2004. Il mio capo, oggi amico , Stefano mi attende in ufficio per il mio primo giorno di lavoro in "Ferrero". Come ho raccontato brevemente nel libro "Agile Marketing" quel mio primo giorno non lo dimenticherò veramente mai. Perché è stato il mio vero inizio nel mondo del marketing ma soprattutto nel mondo degli imprenditori.
Chi mi conosce sa che io non volevo nemmeno fare marketing. Non era quella la mia aspirazione. Sono ragioniere, 56/60, arrivato a quel traguardo forse grazia alla mia creatività e intuito, non sicuramente solo per lo studio.
Così anche il marketing non era per me ciò che pensavo fosse il mio futuro. Un misero 24 all’università e pochissime ore passate davanti ai libri.
Ho capito però che con il marketing potevo conviverci quando durante il mio primo anno ho avuto un insegnante intelligente, motivato e devoto alla causa che perseguiva. Quando Stefano mi ha parlato di "prodotti impresa" ho capito che il marketing non è un lavoro ma una forma mentis che ti conquista totalmente prendendoti l'anima e facendoti diventare imprenditore in testa e non solo in corpo.
Dopo anni ho capito perchè la devozione ferreriana del marketing era cosi’ forte. Tutti ragionavano con il piglio imprenditoriale cercando di governare il processo, progetto e prodotto come se fossero il CEO di quello che stavano facendo.
Ed è proprio questo che a parer mio sarà il futuro del lavoro. Un futuro basato su team motivati dalla necessità di guardare al beneficio del proprio prodotto facendo in modo che i clienti ne traggano uno ulteriormente elevato per la propria soddisfazione.
Il lavoro non è sempre dovere, ma deve essere sempre piacere.
Purtroppo siamo cresciuti con l’idea che il lavoro è dovere. Ma è cosi’? E’ veramente necessario improntare la nostra vita sui doveri o forse è meglio ragionare sul piacere di lavorare?
Ho visto tante volte negli occhi dei miei ex colleghi, di quelli attuali la fatica e lo stress dopo una giornata di lavoro. Ma spesso ho visto soprattutto la gioia per aver contribuito imprenditorialmente ad una vittoria.
Si perchè ai dipendenti di oggi si chiede di ragionare da “capi”, comportarsi da “leader” e rischiare come “imprenditori” sapendo di non perdere denaro o risorse (di tasca propria) ma al contrario sapendo di essere pagati per commettere quegli errori che servono per crescere e diventare migliori nel lavoro.
Siamo pronti per questo salto mentale? Quanto invece i leader devono lavorare per forgiare le menti e dare processi e procedure affinché tutti possano performare bene?
Le aziende ragionano da leader? I dipendenti ragionano da imprenditori? Una cosa è certa e la ripeto da quando ho avviato la mia azienda: non esiste contratto a tempo indeterminato se l’azienda non è a tempo indeterminato. Il modo migliore, per le aziende di oggi spesso fatte di persone che rischiano capitali e tempo per il benessere comune, è attivare la modalità imprenditoriale in tutti gli angoli dell’azienda…
Soprattutto nelle persone che lavorano con te. Non è più un incentivo, ma la necessità per sopravvivere. Chi non ci arriva non può stare in tutte le aziende. Deve trovarsi un lavoro, appunto un lavoro che abbia doveri e diritti. Quelli per cui ci si alza al mattino…
A me è sempre piaciuto alzarmi al mattino e andare al lavoro per costruire qualcosa e non per scambiare il mio tempo in cambio di diritti e doveri e quindi in cambio di retribuzione.